Le margheritine (1966) è una delle opere più importanti della Nová Vlna, la cosiddetta “nuova ondata” del cinema cecoslovacco che sino alla Primavera di Praga ha saputo raccontare magistralmente la dimensione conflittuale e le tensioni giovanili implicite ed esplicite all’interno del sistema politico socialista. Il film di Věra Chytilová racchiude nel suo breve runtime di 1 ora e 15 minuti l’essenza propria della Nová Vlna, traslando nell’immagine cinematografica le istanze generazionali che rilevano nella ricerca della pura libertà di espressione (individuale e collettiva) una virtù necessaria e imprescindibile per l’essere umano.
In linea con le altre produzioni del periodo, il messaggio politico è forte e chiaramente presente. Tuttavia, uno dei particolari più interessanti de Le margheritine è il suo saper sfruttare coscienziosamente il medium cinematografico per filtrare il contenuto più espressamente pregno dal punto di vista delle sue implicazioni extramediali attraverso l’utilizzo della metafora visiva. L’opera di Věra Chytilová è infatti, se vogliamo affidarci ad una visione semplicistica, una commedia dall’intreccio molto lineare e, a prima vista, innocuo. Allo stesso tempo però, il ricorso al décadrage permette alla regista ceca di definire a dovere lo statuto ambiguo del suo film, “disinquadrandone” le sequenze che lo compongono e arricchendole così di un orizzonte segnico che ne amplifica il senso complessivo muovendosi al di là di ciò che parrebbe volersi dare come immediatamente tangibile.
Le protagoniste de Le margheritine, due ragazze di nome Marie, trascorrono le proprie giornate godendosi la vita attraverso molteplici attività veniali, come corteggiare uomini più anziani di loro, ubriacarsi in un nightclub rovinando la serata alle altre persone, ingurgitare grandi quantità di cibo senza motivo, e molto altro. Il modo in cui le loro avventure frivole vengono mostrate allo spettatore però trascende la linearità del loro svolgersi, diventando un divertissement a sua volta nella messa in atto del décadrage sopracitato. Lo sguardo spettatoriale viene infatti costantemente dissestato in una vera e propria operazione stilistica e tecnica che viene resa manifesta sin dall’incipit del film, dove le due ragazze, accompagnate da suoni metallici, si muovono roboticamente affermando la propria contorta moralità: «visto che tutto degenera, degeneriamo anche noi».
Le margheritine dunque si mostra presto per quello che realmente è: un discorso, dal tono surreale e provocativo, sullo stato delle cose e sul suo contrasto con le esigenze delle generazioni più giovani. Non a caso, il film è stato peraltro censurato dal partito comunista cecoslovacco per “gli sprechi” che ne hanno costellato le riprese. Una delle sequenze più importanti dell’opera vede infatti un banchetto destinato ai rappresentanti dello Stato venire completamente consumato dalle due protagoniste, in un’orgia di salti cromatici incontrollabili e di caos sonoro dove elementi diegetici ed extradiegetici finiscono per diventare un tutt’uno, rompendo con qualsiasi tradizione cinematografica per ricercare invece una libertà espressiva non subordinata a regole.
È proprio il rifiuto di sottomettersi a leggi e vincoli il trait d’union principale a muovere il lavoro svolto da Věra Chytilová nel film. Lo sberleffo, la risata, lo scherzo sono le realtà che all’interno di un contesto di rigidità e di oppressione possono aiutarci ad aprire gli occhi sul mondo. Le due Marie mangiano i frutti dell’albero della conoscenza e la loro risposta al clamore dell’evento è il darsi ad una vita di eccessi e di risa. La chiave per la comprensione del reale non segue il raziocinio bensì un percorso che rileva nella dimensione dell’irrazionale una via privilegiata. Il reale stesso, nella sua natura frammentaria e incomprensibile, deve essere sottoposto ad un’ulteriore parcellizzazione, come sapientemente rappresentato ne Le margheritine nella scena in cui le due protagoniste mutilano a colpi di forbice le loro figure e lo spazio che le circonda.
Persino le bombe sganciate dagli americani nel Pacifico durante la Seconda guerra mondiale vengono proposte da Věra Chytilová nelle cascate di immagini il cui scopo sembra chiaramente darsi come il voler urtare profondamente lo spettatore durante la visione dell’opera. Poste in apertura e in chiusura, le bombe amplificano ulteriormente il messaggio della regista cecoslovacca, evidenziato con classe nella dedica a fine film verso tutti coloro che si indignano troppo facilmente per le futilità, non ricorrendo al proprio spirito critico di fronte ai drammi causati da un esercizio del potere sfrenato e incontrollato.
Daniele Sacchi