Lynch/Oz, la recensione del documentario su David Lynch

Lynch/Oz

Il mago di Oz di Victor Fleming è un’opera chiave per la formazione dell’immaginario cinematografico americano. Il viaggio metaforico di Dorothy, l’affermazione di Judy Garland, l’uso brillante del Technicolor, il lancio di Over the Rainbow: sono solo alcuni degli elementi che nel tempo hanno contribuito a rendere Il mago di Oz un racconto quintessenziale per il cinema statunitense, un classico senza tempo la cui portata è stata amplificata nelle decadi successive grazie anche ai ripetuti passaggi televisivi. Lynch/Oz, documentario diretto da Alexandre O. Philippe in arrivo nelle sale italiane il 15, 16 e 17 maggio come film evento per Wanted Cinema, prende le mosse proprio da Il mago di Oz di Fleming per approfondirne l’influenza nel cinema di David Lynch.

L’indagine del regista svizzero – già conosciuto per il documentario 78/52 su Psycho di Alfred Hitchcock e per The People vs. George Lucas sul fandom di Guerre stellari – si propone di ricercare dei punti di contatto tra la storia di Dorothy portata in scena da Fleming e la filmografia lynchiana, nel tentativo di avviare una riflessione che, a partire da un lavoro di analisi del film, prenda poi la forma di un vero e proprio discorso critico. Diviso in sei capitoli, narrati dalla critica cinematografica Amy Richardson e da diversi registi statunitensi, Lynch/Oz scava tra le vie surreali e orrorifiche del cinema di David Lynch intessendo un continuo parallelismo e raccordo con Il mago di Oz, con lo scopo di muoversi anche al di là rispetto al film di Fleming per abbracciare attraverso le sue divagazioni altri temi e opere.

Gli spunti più interessanti del film arrivano soprattutto dal primo capitolo, Vento, nel quale viene proposto un efficace accostamento tra gli elementi magici, inspiegabili e curiosi de Il mago di Oz con le incursioni surreali di Lynch, soprattutto nel non dare per scontato che quanto osserviamo nel cinema lynchiano «sia veramente quello che è». Spicca anche il quarto capitolo, Moltitudini, una splendida analisi di Mulholland Drive in confronto diretto con il film di Fleming condotta da Karyn Kusama (regista di Jennifer’s Body e dell’ansiogeno The Invitation), mentre suggestioni documentaristiche più classiche arrivano invece dal segmento di John Waters. Waters non si limita alla semplice analisi decidendo infatti, oltre a confrontare la sua stessa filmografia con quella di Lynch, di focalizzarsi perlopiù nel riportare aneddoti e considerazioni personali sul regista.

Tuttavia, nonostante le buone premesse, durante Lynch/Oz si ha in diverse occasioni la sensazione di trovarsi di fronte ad un approccio alla materia condotto da un punto di vista fin troppo accademico che, a tratti, rischia di cadere persino nel didascalico. Il secondo capitolo ad esempio, Membrane, narrato da Rodney Ascher (regista del pessimo Room 237 su Stanley Kubrick), pur individuando la centralità del rapporto tra reale e immaginario in Lynch e della simbologia delle tende come limiti e margini, è ricco di qualunquismi e di osservazioni poco brillanti, alla stregua di un saggio adolescenziale. Similmente, il segmento Judy poteva essere a sua volta più incisivo, specialmente se pensiamo all’importanza centrale della figura di Judy/Jowday in Twin Peaks. Innocuo, invece (per quanto più personale), l’intervento di David Lowery in chiusura.

Tra alti e bassi, dunque, Lynch/Oz appare nel complesso come un onesto esercizio di analisi critica. Il documentario di Alexandre O. Philippe non costituisce assolutamente una visione obbligatoria per il cinefilo più intransigente, ma è un film che può comunque spingere lo spettatore a non fermarsi alla superficie nel suo entrare in contatto con la materia cinematografica e i suoi percorsi.

Daniele Sacchi