“Matrix” di Lana e Lilly Wachowski – Recensione

Matrix

Ti interessa sapere di che si tratta, che cos’è? Matrix è ovunque. È intorno a noi. Anche adesso, nella stanza in cui siamo. È quello che vedi quando ti affacci alla finestra, o quando accendi il televisore. L’avverti quando vai al lavoro, quando vai in chiesa, quando paghi le tasse. È il mondo che ti è stato messo davanti agli occhi per nasconderti la verità.

Sono passati quasi 20 anni dall’uscita di Matrix, il capolavoro postmoderno delle sorelle Lana e Lilly Wachowski, e il suo messaggio risuona ancora oggi come estremamente attuale. Il film del 1999 offre ai suoi spettatori, come al suo protagonista Neo (Keanu Reeves), un percorso introspettivo di approfondimento sia di quei processi di formazione dell’identità attraverso i quali ci determiniamo come soggetti nei confronti del resto del mondo, sia di quei processi con i quali identifichiamo invece gli oggetti stessi delle nostre attività esperienziali e conoscitive. Proponendosi come una vera e propria indagine euristica che prende le mosse da queste tematiche per espandersi in seguito in un’estensiva esplorazione del rapporto di compenetrazione reciproca tra il reale e l’immaginario, Matrix si dimostra pertanto un film in grado di saper comprendere pienamente le grandi potenzialità critiche del medium cinematografico, architettando un elaborato discorso metanarrativo che con il suo impatto visivo e la sua forza espressiva è riuscito ad imprimersi con impeto nell’immaginario collettivo.

Trovando un proprio spazio e una propria dimensione ben riconoscibile tra le produzioni hollywoodiane del suo tempo, Matrix, in parallelo con il meno conosciuto eXistenZ di David Cronenberg, ha saputo sfruttare le allora semi nascenti logiche dell’immediatezza e dell’ipermedialità proprie dei nuovi media digitali, attuando una vera e propria operazione di rimediazione di schemi estetici e strutturali già individuabili in altre realtà, come ad esempio nel medium videoludico o nel panorama fecondo offerto da Internet. È in tal senso che in Matrix ciò che viene percepito come la realtà stessa, un luogo apparentemente identico al nostro universo, non è nient’altro che un insieme di linee di codice volte a strutturare un cyberspazio simulato, un luogo in cui i suoi abitanti non sono a conoscenza della loro condizione effettiva e vivono una vita di illusioni, riducendosi a degli involucri vuoti la cui coscienza viene plasmata in un contesto di dissimulazione del reale.

Matrix

Matrix però, proprio in virtù della sua natura cibernetica, è anche uno spazio che può essere modificato da chi è in grado di alterarne il codice: è il caso di Morpheus (Laurence Fishburne) e del suo gruppo di hacker ribelli con i quali persegue una salvifica operazione di risveglio delle coscienze di coloro che si trovano intrappolati in Matrix. Il training al quale viene sottoposto Neo da Morpheus, oltre a richiamare esplicitamente il dominio proprio del medium videoludico, sottolinea ulteriormente l’identità simulacrale del virtuale, che tuttavia si trascina con sé un’estrema e brutale verità: morire in Matrix significa morire anche nel proprio corpo fisico. In questo senso, il film delle sorelle Wachowski riesce a far coincidere su un ulteriore piano ciò che appare come vero, la “realtà reale”, e ciò che invece dovrebbe essere falso, la realtà immaginaria di Matrix, giungendo pertanto a connettere la presunta falsità dello spazio virtuale con il suo essere terribilmente vero.

Nella celebre sequenza tra Neo e Morpheus, con quest’ultimo che offre al primo la scelta tra una pillola blu (il continuare a vivere nella finzione di Matrix) e una pillola rossa (abbandonare Matrix per risvegliarsi nel mondo reale), la scelta alla quale il personaggio interpretato da Reeves viene sottoposto sembra tuttavia andare ben al di là di un mero scontro dicotomico tra l’illusorio e l’autentico, tra l’immaginario e il reale, tra il falso e il vero. A tal proposito, il filosofo sloveno Slavoj Žižek ha proposto ironicamente nel suo documentario The Pervert’s Guide to Ideology (2012) la necessità di una terza pillola, che disveli invece la realtà all’interno dell’illusione stessa. Come è sempre più evidente oggi, il nostro rapporto con i mondi finzionali che ci vengono proposti dalle nuove tecnologie come, per indicarne una, la Virtual Reality, insieme al costante sviluppo del World Wide Web, sempre più teso verso la costituzione di ecosistemi cibernetici attraverso le piattaforme dei social media, è ormai un rapporto di interdipendenza reciproca che non sembra destinato a volersi arrestare. Perché abbiamo così tanto bisogno di questi paradigmi fittizi? L’illusione, il falso, l’immaginario diventano una necessità, dei supplementi vincolanti che non possono essere abbandonati facilmente e che spesso permettono di ancorarsi al reale, finendo in ultima analisi per sostituirsi ad esso e a plasmare la nostra identità stessa.

Individuando la frattura tra il reale e l’immaginario, insieme alla loro conseguente compenetrazione, Matrix anticipa dunque le tematiche proprie dell’epoca post-11 settembre, riassorbendo nelle proprie immagini delle particolarità che già si percepivano come attuali da qualche anno. Escludendo dal giudizio i due generici sequel del 2003 Matrix Reloaded e Matrix Revolutions, che poco aggiungono alle considerazioni ivi esposte e che sembrano solamente dei film creati ad hoc per cavalcare il successo del primo, l’opera delle sorelle Wachowski si erge a pietra miliare del cinema americano contemporaneo: un film capace di indagare con estrema lucidità e criticità le peculiarità proprie del nostro tempo.

Daniele Sacchi