Mickey 17 di Bong Joon-ho, la recensione del film

Mickey 17

Nel 2054, Mickey (Robert Pattinson) lavora come Sacrificabile, ovvero come cavia umana usa e getta impiegata in un ciclo continuo di danneggiamento, eliminazione e progressiva ristampa. A fini scientifici e di colonizzazione spaziale, la rimpiazzabilità dei Mickey esime dal costo di impiegare per gli stessi fini risorse maggiormente limitate, o vite umane, contrariamente alla sua, non sacrificabili.

A sei anni dallo straordinario successo di Parasite, Bong Joon-ho torna al cinema onerato dal complesso compito di appagare le aspettative generate da un predecessore ampiamente considerato come perfetto. Nella forma di una totale variazione d’intenti, dal sottile cinismo delle sue opere in lingua coreana si ri-orienta verso la viscerale caricaturalità delle precedenti produzioni americane, Snowpiercer e Okja. Quindi, e con lo stesso approccio smaccatamente esplicito del recente The Substance di Coralie Fargeat, Mickey 17 si costruisce come una grottesca macchietta del contemporaneo, ridicolo e disturbante nel suo non essere, di fatto, così lontano dalla realtà. Ne è agente primario il Kenneth Marshall di Mark Ruffalo, politico fallito a capo della spedizione verso il pianeta ghiacciato di Niflheim. Discepolo della politica performativa di Donald Trump e delle ambizioni spaziali-colonialiste di Elon Musk, parodia di entrambi, reagisce all’ormai irreparabile decadimento della Terra progettando la genesi di una civiltà spaziale personale, bianca, superiore e selezionata.

Il continuo mix di suggestioni care al regista si presenta in primis mediante un world building intelligente, futuro prossimo composito delle – estremizzate – distorsioni del mondo di oggi. La Terra, su cui sembra ormai assente qualsiasi progetto di risanamento, sta venendo abbandonata, poveri e bisognosi spediti nello spazio come manovalanza. L’apice dei disperati, Mickey, è arruolato come normalizzata carne da macello, contraddistinta dalla sacrificabilità di chi detiene una totale mancanza di valore nell’ordine sociale.

Il sacrificabile non è quindi un individuo potenzialmente immortale, ma catalogato come sostituibile, a basso costo, con una copia simile e appropriata alle stesse funzioni. L’ambiguità morale e scientifica nel loro utilizzo non è dissimile da tanti dei dibattiti etici odierni su sviluppo tecnologico e diritti umani, nonché sullo spinoso (e in realtà solo accennato dal regista) concetto di mortalità in un mondo così avanzato. La collettività degli abitanti della nave, è una massa omogenea indottrinata da dozzinali promesse di ascesa alla classe dominante. Nelle creature aliene che abitano Niflheim, paragonabili al dolce gigante di Okja, è evidente infine il tema ambientale, dell’abuso, dell’accondiscendenza e della volontà di rimpiazzo umano verso esseri pacificamente insediati nel proprio habitat.

La trasparente satira del regista, di contro, fatica a trattare con efficacia omogenea una così ampia varietà di temi, tra essi il concetto, narrativamente fondamentale, del multiplo. E, nonostante questa anticipata svolta di trama (la possibilità di stampare più corpi di una singola persona contemporaneamente) sia stata una delle più marketizzate del progetto, Bong Joon-Ho sembra faticare a districare proprio questo snodo narrativo. Il multiplo viene presentato, disordinatamente, come oggetto di discriminazione, fattore di ambiguità legale, veicolo per una commedia degli equivoci, nonché nell’ottica di un dibattito su concetti di estrema complessità come libero arbitrio, definizione dell’Io e “ubicazione” dell’anima (o delle anime) rispetto al corpo. Ne consegue come, a seguito di un’impeccabile cold open iniziale e di un ottimo secondo atto di costruzione narrativa, terzo atto ed epilogo siano significativamente più deboli rispetto ad essi, privi del focus narrativo tipico del regista e incapaci di chiudere in modo completamente soddisfacente tutte le suggestioni precedentemente introdotte. Così come l’intera implementazione del multiplo risulta sottosviluppata, alcuni filoni di trama appaiono superflui e chiusi sbrigativamente, ne sono esempio i personaggi secondari di Timo (Steven Yeun) e Kai (Anamaria Vartolomei).

Nonostante queste visibili sbavature, la satira fantascientifica di Mickey 17 si conferma come la più efficace delle pellicole di Bong Joon-ho in lingua inglese, assolutamente consistente nella filmografia e nella poetica del regista. Nella sua somma, una parata di tempi comici e performance attoriali brillanti (non solo Robert Pattinson, straordinario in un doppio ruolo, ma il già citato Mark Ruffalo, Toni Collette, Naomi Ackie, l’intero cast di supporto) che nasconde, dietro il farsesco, l’eccessivo e lo sfacciato, una disamina tristemente lucida dell’altrettanto farsesco mondo moderno.

Beatrice Gangi