Noi (2019) è il secondo lungometraggio realizzato da Jordan Peele dopo il grande successo di pubblico e critica ottenuto con Scappa – Get Out (2017). Come per il suo esordio, Noi è un’interessante indagine sociale che ricorre a piene mani agli stilemi tradizionali del thriller e dell’horror, senza per questo risultare parziale o approssimativa. Anzi, il film del regista afroamericano, sebbene non brillante quanto l’opera precedente, riafferma le ottime capacità di Peele dietro la macchina da presa e in qualità di sceneggiatore, mostrando come in entrambi i lavori vi sia una continuità tematica e una precisa visione estetica.
Il film, in particolare, racconta i terribili risvolti di una vacanza famigliare. Adelaide (Lupita Nyong’o), insieme al marito e ai figli, viene inspiegabilmente aggredita da una famiglia di quattro persone. L’identità degli aggressori è uno shock: i quattro, infatti, sono identici ai protagonisti. Le differenze risiedono tuttavia nella loro incapacità di parlare (ad eccezione di Red, il doppelgänger di Adelaide) e nei movimenti quasi animaleschi che li contraddistinguono. Inoltre, come presto diventerà evidente, la minaccia degli Incatenati (così si definiscono) assumerà una pericolosità tale da costringere la famiglia a ripensare completamente al mondo che li circonda e al loro rapporto con esso.
Prima ancora di parlare dell’uomo e della sua relazione con l’altro, Noi parla prima di tutto degli Stati Uniti. Il titolo originale, Us, non è solo un riferimento al pronome, e dunque alla collettività che siamo e che ci rappresenta, ma è anche un chiaro rimando agli USA. Il costante richiamo al luogo in cui è ambientata l’opera, non solo tirata in causa direttamente da Red in una sequenza in cui descrive se stessa e gli Incatenati come la reale America, ma anche affrontata attraverso una vera e propria operazione di sottomissione degli Stati Uniti ad una profonda rilettura parodistica (come l’esplicita citazione all’evento degli anni ’80 denominato Hands Across America), diventa un modo per Peele per chiarire apertamente il soggetto della sua analisi: le dinamiche sociali che determinerebbero tutt’oggi lo sfondo sul quale si sviluppa la vita quotidiana di ogni cittadino americano.
In tal senso, Noi sembra riprendere il concetto tradizionale di classe per strutturare il proprio intreccio, individuando pertanto nelle differenze tra le persone “reali” del film e le loro ombre (gli Incatenati) un effettivo corrispettivo con la realtà. A differenza di Get Out, nel quale la critica al classismo era marginale rispetto alla critica verso la differenziazione e discriminazione razziale, in Noi il discorso verte direttamente sulla differenza tra ceti bassi, medi e alti. Una prima differenza al quale lo spettatore viene chiamato a dare il proprio giudizio è quella tra la famiglia di Adelaide e la famiglia di Kitty (Elizabeth Moss). Quest’ultimi vengono presentati come persone odiose il cui comportato è quasi interamente definito dalla loro grande disponibilità economica, a differenza della famiglia di Adelaide che, appartenendo al ceto medio, sembra vivere in equilibrio tra l’agio e l’umiltà. La caricatura diventa per Peele una categoria descrittiva: le famiglie sembrano così diverse perché lo sono realmente, e la differenza nel capitale, non solo economico ma anche e soprattutto sociale (per dirla con Bourdieu), sembra essere fondamentale nel caratterizzarne i tratti.
L’enfasi maggiore tuttavia viene data al ruolo degli Incatenati, una rappresentazione estrema dei meno abbienti. La scelta di Jordan Peele di assegnare questa parte alla figura del doppelgänger è, in tal senso, molto interessante. Se da un lato vi è un proseguimento della critica al classismo, con la sovversione che sembra darsi come l’unica risposta all’oppressione, dall’altro sembra esserci da parte del regista e sceneggiatore statunitense l’intenzione di abbozzare anche un’analisi psicologica dell’uomo contemporaneo. Il doppio diventa così l’espressione del lato celato, dell’essere contro l’apparire: un concetto di certo non originale, ma affrontato perlomeno con uno sguardo differente.
Per quanto riguarda la messa in scena, Jordan Peele si riconferma un cineasta molto attento alla cura e ai dettagli del suo lavoro. Anche qui, come in Get Out, ritorna la strizzata d’occhio al cinema hitchcockiano, e i riferimenti alla cultura pop degli anni ’70 e ’80 sono molteplici, dalle piccole citazioni (come a Lo squalo di Steven Spielberg) agli importanti richiami a Michael Jackson (si pensi ad esempio all’abbigliamento degli Incatenati). Ma il vero fulcro di Noi è senza ombra di dubbio Lupita Nyong’o, che, parallelamente a quanto svolto da Toni Collette in Hereditary (Ari Aster, 2018), riesce attraverso la sua interpretazione a trasformare l’opera da un semplice film apprezzabile a un vero e proprio must per gli appassionati del thriller–horror contemporaneo.
Daniele Sacchi