Bruce Chatwin è stato un esploratore, giornalista e scrittore, un uomo che ha viaggiato a piedi per tutto il mondo spinto da un’insaziabile sete di conoscenza. Werner Herzog, suo grande amico, gli rende omaggio con il film Nomad: In cammino con Bruce Chatwin (qui il trailer).
Diviso in capitoli che vanno dalla prima ossessione infantile di Chatwin (la pelle di un bradipo gigante estinto appartenuta alla sua famiglia) fino alle ultime parole da lui scritte sul letto di morte, Nomad: In cammino con Bruce Chatwin è un percorso che ripercorre alcune delle tappe più importanti della vita dell’esploratore. Non è un film biografico, Herzog lo dichiara fin dai primi minuti, il suo obiettivo non è ricostruire la storia della vita dell’amico, una vita comunque troppo ampia e complicata per poter essere ridotta a due ore di film. C’è uno scambio di battute all’interno del documentario che riassume efficacemente il lavoro di Herzog: ad un certo punto un interlocutore del regista afferma che Bruce Chatwin «non raccontava mezze verità, raccontava una verità e mezzo, abbelliva i fatti in modo che potessero essere più veri del reale». Quello che il regista vuole fare è mostrare le cause, i motivi che hanno spinto un uomo a dedicare la sua vita al viaggio e alla ricerca.
Al percorso esplorativo avviato da Bruce Chatwin, si affianca quello di Herzog stesso. I due infatti condividevano la medesima filosofia sull’esplorazione: esiste qualcosa di catartico, di spirituale nel girare per il mondo a piedi, un po’ come gli aborigeni australiani che si spostano sulle vie dei canti (canti tribali che sono contemporaneamente miti della creazione e mappe di un territorio) o le linee di forza che attraversano costruzioni antiche come le strutture neolitiche. I misteri della natura si rivelano soltanto a coloro che decidono di affrontare il mondo a piedi, in pellegrinaggio.
La figura di Chatwin si adatta perfettamente all’elenco di protagonisti audaci, spericolati, ma alla costante ricerca di un obiettivo, che hanno caratterizzato molti dei film del regista, da Fitzcarraldo (1982) – film non per nulla molto amato da Chatwin stesso – a Timothy Treadwell, protagonista di Grizzly Man (2005). Il paragone con quest’ultimo film in particolare rappresenta un’utile chiave di lettura del lavoro documentario di Herzog. In entrambe le opere il regista decide di raccontare la storia di una figura eccezionale che, pur per diversi motivi, si allontana dalla società come noi la conosciamo e si mette in rapporto diretto con la natura, affrontandola da solo, a piedi. Due storie in cui si riflette la vita stessa di Herzog, anche lui nomade ed esploratore, che vengono sfruttate come un catalizzatore per indagare la profonda natura di ciò che realmente ci rende umani; mostrandoci lo scopo della vita dei suoi protagonisti il regista ci spinge a riflettere sulla nostra condizione e sul nostro ruolo nel mondo.
C’è però una grande differenza tra Grizzly Man e Nomad che è importante sottolineare: se dal racconto della storia di Treadwell emerge un profondo rispetto e ammirazione per un uomo che purtroppo il regista non ha potuto incontrare di persona, nel suo ultimo film ci viene mostrata una dimensione molto più personale, in cui al rispetto e all’ammirazione si affianca la nostalgia per il tempo passato insieme, e un senso di perdita per la scomparsa prematura di un amico e di un uomo che avrebbe ancora potuto dare tanto al mondo.
Gianluca Tana