Per fare un buon film ambientato interamente in una stanza si ha bisogno di due elementi fondamentali: un’attrice particolarmente capace e una storia intrigante. Alexandre Aja lo sa bene e per il suo Oxygène sceglie da una parte un’attrice dall’indiscussa bravura come Mélanie Laurent, dall’altra una trama fantascientifica “classica”, che utilizza molti dei topoi tipici del genere. Tuttavia, quest’ultima scelta risulta limitante e controproducente: sfruttare i cliché consente di fare affidamento su elementi conosciuti dagli appassionati del genere, che però rendono la storia piuttosto prevedibile e il pubblico si troverà quindi a non attendere con la stessa trepidazione la grande rivelazione finale, intuendone i colpi di scena che si susseguono.
In Oxygène, Laurent interpreta una donna che si sveglia all’interno di una capsula medica: un’unità che ha la funzione di preservare, addormentati, i malati terminali mentre vengono sottoposti a terapie di cura. La protagonista non sa nulla su di sé o del perché si trovi in quella situazione, ma il problema è ben più grave di quello che sembra: la cella criogenica ha un difetto e sta rapidamente perdendo ossigeno. Con solo il 35% della sua riserva rimasta, la donna avrà pochi minuti per capire chi è e trovare un modo di sopravvivere.
La gestione della salute dei pazienti e più in generale le funzioni mediche sono affidate a M.I.L.O., ovvero a un’interfaccia digitale. Peculiare questa scelta gestionale, in quanto ci si aspetterebbe l’affidamento delle responsabilità mediche a un’intelligenza artificiale. M.I.L.O. infatti non possiede la capacità di pensare liberamente e di conseguenza non può fornire informazioni spontaneamente, e per quanto la paziente lo supplichi, sarà quest’ultima a dover scegliere le domande giuste da porre per sbloccare le spiegazioni a lei necessarie. Attraverso questo semplice espediente Aja riesce ad impostare il ritmo narrativo della storia, un susseguirsi di domande e risposte che portano ad altre domande, fino al grande svelamento finale.
Sebbene Oxygène non sia il più originale dei film, è sicuramente una buona opera fantascientifica, nonché un’ottima prova sia attoriale che registica, capace di catturare l’attenzione dello spettatore senza risultare mai banale o monotona nonostante la limitazione spaziale. Come ogni storia di fantascienza – riuscita o meno – che si rispetti, anche questo film si porta dietro una serie di domande esistenziali sulla condizione dell’uomo e su un mondo privo della presenza umana. Cos’è che ci rende ciò che siamo? Se noi siamo i nostri ricordi e le nostre esperienze, che cos’è una persona che non possiede né gli uni né gli altri? Quesiti che, giustamente, non vengono risolti dal film, ma lasciano lo spettatore libero di trarre le proprie conclusioni.
Gianluca Tana