Nel 1991, Kathryn Bigelow porta sul grande schermo Point Break, nuovo tentativo di rilettura del genere poliziesco americano a solamente un anno dal meno riuscito (ma comunque interessante) Blue Steel. Se in quest’ultimo film le frontiere dell’action thriller prendevano la forma di una deriva persecutoria mossa da parte di uno stalker (Ron Silver) ai danni della neo-agente di polizia interpretata da Jamie Lee Curtis, in Point Break troviamo invece un ripensamento delle dinamiche tipiche di quello che solitamente viene definito come cinema muscolare, composto perlopiù da eroi enormi, spietati supervillain e machismi forsennati.
Un giovane Keanu Reeves è l’agente dell’FBI Johnny Utah, appena arrivato in California per occuparsi di un caso alquanto particolare. Da anni, infatti, una banda di rapinatori mascherati da ex Presidenti degli Stati Uniti assale nel periodo estivo le banche della Contea di Los Angeles. I rapinatori non lasciano mai tracce di sé, ma il collega di Johnny, l’eccentrico veterano del Vietnam Angelo Pappas (Gary Busey), è convinto che si tratti di un gruppo di surfisti della zona. Nonostante lo scetticismo del loro superiore, il direttore dell’FBI Ben Harp (John C. McGinley, conosciuto soprattutto per il ruolo del dottor Cox in Scrubs), il singolare duo di agenti inizia ad investigare, con Johnny che si infiltrerà nel gruppo di surfisti guidato dal carismatico leader Bodhi (Patrick Swayze).
Alle tipicità del genere e ad alcuni eccessi rocamboleschi, tra sparatorie spettacolari e salti da aereo senza paracadute, Kathryn Bigelow affianca una precisa ricerca decostruttiva, rimodulando operativamente gli spazi e le modalità dell’indagine poliziesca. Da questo punto di vista, il personaggio di Johnny Utah è lontano dalle rappresentazioni stereotipate classiche dell’agente infiltrato (al di là della poco ispirata storia d’amore con la cameriera e surfista Tyler, interpretata da Lori Petty) e si posiziona in un’ottica ben diversa, avvicinando il ragazzo alla spensieratezza e alla libertà promulgata da Bodhi e dal suo gruppo.
Ligio al suo dovere ma ancora spezzato per l’interruzione della sua carriera nel football americano, Johnny sembra trovare una nuova dimensione interiore ed esteriore a contatto con la spiritualità di Bodhi e con la sfida delle onde oceaniche. La regia di Kathryn Bigelow propone un dinamismo eccellente nello sviluppo dell’azione filmica, sia nei momenti più concitati del film sia nel tentativo di sottolineare a dovere la centralità dei rapporti intersoggettivi tra i personaggi, istituendo un discorso cinematografico che centralizza proprio l’importanza del confronto-scontro tra “l’eroe” e “l’antagonista”, due facce della stessa medaglia separate solamente nel dualismo agente-criminale che li differenzia.
Come i bikers di The Loveless, come i vampiri de Il buio si avvicina e come, in futuro, gli artificieri di The Hurt Locker, Johnny e Bodhi portano con sé – nonostante le loro inevitabili differenze – un’inadeguatezza costitutiva di fondo nell’interfacciarsi con la quotidianità e nel ritorno alla normalità, con la costante ricerca dell’eccesso che si plasmerà come fattore fondamentale nel loro rapporto con la vita. Da questo punto di vista, Point Break amalgama il gusto per l’azione investigativa proprio all’esame dei percorsi di vita umani, concentrando nella splendida sequenza conclusiva tutto il senso complessivo del film.
Nonostante la semplicità dell’intreccio, Kathryn Bigelow architetta un film fatto di immagini potenti, sublimando nella feroce tempesta che chiude Point Break il vero e definitivo punto di rottura dell’opera, ribadendo la separazione tra i suoi due protagonisti mentre, allo stesso tempo, si avvicinano ancora una volta l’uno all’altro con un movimento contrario. Bigelow trova dunque una chiave di lettura originale all’interno di un genere molto diffuso e standardizzato per l’epoca, compensando la presenza di alcune ingenuità narrative di fondo con uno stile visivo dinamico, pungente e a tratti visionario.
Daniele Sacchi