La comunicazione, il linguaggio, il dialogo, lo scambio reciproco di opinioni, informazioni ed emozioni: Jan Švankmajer raccoglie in Možnosti dialogu (Possibilità di dialogo, 1983) la sua personale ed estremamente cinica visione sull’uomo nel rapporto diretto con l’alterità, anticipando per molti aspetti alcune peculiarità figlie anche della nostra contemporaneità. Con il suo cortometraggio d’animazione in stop motion, il regista ceco cerca di catturare un insieme di tensioni che percepisce come proprie della sua epoca, ma con il senno di poi sembra difficile non individuare in Possibilità di dialogo la rappresentazione di quello che oggi è lo spazio di discussione offerto da Internet, nel quale istinti prevaricatori, di sopraffazione e di dominio regolano ogni dibattito o disquisizione.
O, forse, al di là di ogni possibile periodizzazione, Švankmajer non sta facendo nient’altro che mostrarci l’umanità per ciò che è, nella sua incapacità complessiva di comprendere quelli che dovrebbero essere i valori fondamentali alla base di ogni rapporto con l’altro. Più correttamente, Possibilità di dialogo potrebbe essere inteso non come una singola esperienza cinematografica, bensì come una raccolta di corti legati da un trait d’union tematico che li pone in stretta correlazione l’un con l’altro. L’opera surreale e grottesca di Jan Švankmajer è infatti suddivisa in tre parti, ciascuna dedicata ad approfondire proprio l’apparente impossibilità dell’essere umano a confrontarsi in modo dignitoso e rispettoso con i suoi simili.
Dialog vecný (“dialogo eterno”) è il primo episodio, il più eclettico e caratteristico da un punto di vista stilistico dei tre che compongono l’opera. Il regista ceco mette in scena tre volti, fortemente ispirati ad alcuni degli elementi maggiormente caratteristici individuabili nel corpus artistico del celebre pittore milanese Giuseppe Arcimboldo (anche chiamato Arcimboldi, influenza frequente nei lavori di Švankmajer). Le tre figure antropomorfe sono composte da cibo, oggetti di uso domestico e materiale da scrittura, delineandosi dunque come identità diverse che ci vengono mostrate in un costante ed irrefrenabile battibecco, in una coazione a ripetere del litigio e della divergenza di opinioni. I volti si divorano l’un l’altro ma si riformano continuamente, diventando infine simili tra di loro: l’identità si frantuma, le differenze tanto ribadite ed affermate scompaiono per lasciar spazio alla ripetizione del vacuo. Nella farneticazione siamo tutti uguali, un insieme omogeneo in cui non sembra esserci spazio per l’emergere dell’individualità – un concetto che Švankmajer aveva già approfondito, in modo diverso, in Zahrada (1968).
La seconda sequenza di Possibilità di dialogo si intitola Dialog vášnivý (“dialogo appassionato”) e affronta il tema da un’angolazione differente, quella dell’amore. Un uomo e una donna di argilla si fondono tra loro durante un atto sessuale, diventando una cosa sola. Ciò che a prima vista sembra una rappresentazione poetica e sublime dell’unione dei due corpi assumerà presto i tratti di un discorso sulla responsabilità. Le due figure, tornate integre, si accorgono di aver dato luce ad una nuova entità, per il momento ancora informe. A partire da questo momento, il “figlio” dei due (interpretabile come un vero e proprio figlio ma anche come un argomento fonte di dibattito per la coppia) viene trattato come un oggetto insignificante e non sarà accettato né dal padre né dalla madre, che cercheranno di liberarsene lanciandoselo addosso, scaricandone di volta in volta il peso sull’altro. I due corpi torneranno in seguito a fondersi nuovamente, ma la nuova unione non è più il risultato di un atto amoroso, bensì di un tentativo di annichilirsi a vicenda che richiama quanto già espresso nella sequenza iniziale dell’opera.
L’ultima parte, infine, si intitola Dialog vyčerpávající (“dialogo estenuante”) e vede ancora due teste – entrambe maschili – cercare di comunicare, questa volta attraverso vari oggetti estratti dalla bocca nella vana speranza di combinarli tra loro. Sebbene all’inizio sembra esserci una certa complementarietà, i due finiranno per far combaciare inutilmente oggetti di vario genere, evidenziando un’incomunicabilità di fondo che non può che sottolineare a sua volta la perpetua reiterazione di argomenti fallaci per il puro godimento della querelle. Ancora una volta, la critica di Jan Švankmajer è diretta all’essere umano in generale, considerato incapace di gestire la centralità del proprio ego e delle proprie convinzioni nel corso di una semplice discussione.
A conti fatti, Possibilità di dialogo si presenta allo sguardo spettatoriale come un capolavoro dell’animazione d’avanguardia, un’opera in grado di coniugare lo sperimentalismo del suo assetto stilistico e formale, grottesco e a tratti surreale, con un interessante studio antropologico e filosofico per quanto riguarda invece la sua componente contenutistica. È dunque un peccato che, guardando anche al resto della sua pregevole filmografia, Jan Švankmajer venga raramente menzionato tra i maestri del cinema d’animazione, quando meriterebbe senza ombra di dubbio di farvi parte.
Daniele Sacchi