Rapiniamo il duce è l’ultima grande produzione italiana di Netflix, guidata da un mix di attori e ingredienti sulla carta promettenti, purtroppo disfatti da una messa in scena frettolosa e scadente. Il lungometraggio di Renato De Maria, presentato alla Festa del Cinema di Roma e uscito direttamente in piattaforma, delude non poco, principalmente per l’alto potenziale che il soggetto offriva, un’occasione sprecata e per nulla convincente.
Si è visto con Freaks Out (Mainetti, 2021) che il ventennio fascista e la seconda guerra mondiale sono delle ambientazioni che, nonostante tutto, si prestano anche ad un tipo di narrazione più leggera, che si apre all’action comico e addirittura al fantasy, un territorio dell’immaginario quasi inesplorato in Italia rispetto alla più classica interpretazione meramente storica. In quanto heist movie singolare, quindi, Rapiniamo il duce si presenta a monte come una prospettiva interessante, che segue proprio quella strada aperta da Freaks Out.
Abbiamo il ladro, con artist e fuorilegge “buono” Isola (Pietro Castellitto), il tesoro segreto del duce, una fortezza apparentemente impenetrabile, una squadra di reietti da formare e una serie di difficoltà in una Milano degli anni ‘40 contesa tra le truppe fasciste impegnate a salvare il salvabile in vista dell’imminente disfatta e l’incalzante forza dei partigiani pronti a riconquistare la città. Sulla carta, Rapiniamo il duce sembra proporsi quindi come un film dal ritmo incalzante, dalle tonalità action, ma allo stesso tempo che sa toccare con leggerezza un argomento complesso come quello del fascismo in Italia. Cosa è andato storto allora?
Premettendo che un’ombra di tutto quello che il film promette è effettivamente presente e che quindi il film risulta a tratti godibile e divertente, sono comunque riscontrabili diversi problemi di fondo che tarpano le ali a quello che poteva essere un ottimo prodotto. Partendo dalla resa visiva del film, gli aspetti più tecnici di natura netflixiana non sono sempre all’altezza del grande schermo, dagli effetti visivi alla fotografia è tutto troppo artificiale e artisticamente nullo, ma su questo aspetto si può facilmente chiudere un occhio, sapendo che la stragrande maggioranza del cinema italiano è realizzato con budget modesti.
Quello che viene a mancare sono le basi di un buon film, una scrittura convincente e delle interpretazioni valide. La scrittura offre degli scambi di battute infelici, che cercano di imitare una certa Hollywood contemporanea, ma mancando di un reale intento parodico finiscono solo per rasentare il ridicolo. Su queste fondamenta già fragili si aggiungono delle interpretazioni assolutamente non degne rispetto al calibro degli attori protagonisti. Una nota a parte va al casting di Maccio Capatonda: assolutamente inspiegabile la scelta di inserire la sua figura in uno spazio completamente estraneo per lui, nel tentativo di inseguire a tutti i costi la parentesi comica e nel tentativo (viene da dire disperato) di avvicinare qualche spettatore in più.
In conclusione, il film di Renato De Maria non riesce mai ad apparire come nuovo, di larghe vedute e ben riuscito. Rapiniamo il duce è un film che, pur sondando un terreno quasi inesplorato e promettente e pur strizzando l’occhio a un certo cinema di intrattenimento americano, non riesce a raggiungere l’effetto desiderato, risultando di fatto in un’occasione sprecata (l’ennesima) per il nostro cinema.
Alberto Militello