Reality di Tina Satter, la recensione del film

Reality

Reality, mostrato lo scorso anno alla Berlinale nella sezione Panorama e ora nelle sale italiane con Lucky Red, è l’opera prima di Tina Satter, regista teatrale statunitense che adatta qui la sua pièce Is This a Room, a sua volta basata su un fatto realmente accaduto. Al centro del film sono le indagini condotte dall’FBI su Reality Winner (interpretata nel film da Sydney Sweeney), aviere capo dell’US Air Force e linguista accusata di essere una whistleblower e, nello specifico, di aver divulgato un rapporto riservato della National Security Agency che proverebbe un’interferenza russa nelle elezioni americane del 2016.

Reality non è un biopic tradizionale. Il film si svolge in una singola giornata, il 3 giugno 2017, ossia quando l’FBI si presenta a casa di Reality con un mandato di perquisizione. Come per la sua controparte teatrale, il film è una ricostruzione parola per parola dell’interrogatorio condotto quel giorno dagli agenti FBI, un reenactment che, attraverso la sua semplicità formale e il minimalismo della messa in scena, si propone come una sottile indagine sui meccanismi che governano l’azione del potere.

In particolar modo, il film di Tina Satter gioca continuamente con l’aspettativa dello spettatore che, abituato al pathos tipico degli interrogatori polizieschi cinematografici e televisivo-seriali, si trova, al contrario, di fronte ad una peculiare austerità, un rigore visivo che subisce degli scossoni solamente in quei momenti in cui il testo di riferimento – la trascrizione dell’interrogatorio – è poco chiaro o è stato attivamente oscurato. Per il resto, ad eccezione di questi glitch improvvisi, Reality procede seguendo la naturalezza ondivaga del Reale, ed è proprio in questo scarto che subentra il rovesciamento ironico suggerito dal titolo del film. Senza mai porsi come un documentario, Reality riproduce infatti una realtà sospesa tra una visione oggettiva degli eventi e le istanze soggettive della sua protagonista.

Così, alle richieste pacate ma via via sempre più pressanti degli agenti dell’FBI sui documenti che Reality avrebbe inviato alla webzine The Intercept (fondata, tra gli altri, da Laura Poitras, regista celebre per il documentario Citizenfour su Edward Snowden e per il film vincitore del Leone d’oro All the Beauty and the Bloodshed), Satter non omette anche le risposte più semplici, naturali e “umane” della sua protagonista, come ad esempio le preoccupazioni sul suo cane e sul suo gatto. Il dominio del soggettivo irrompe non solo nella struttura a tratti casual dell’interrogatorio, ma anche attraverso l’apparenza quieta della stessa Reality, colta all’improvviso nella sua ordinarietà mondana.

Lodevole, da questo punto di vista, è la prova attoriale di una Sydney Sweeney alternativa rispetto ai suoi ruoli più conosciuti e sopra le righe (Euphoria, The White Lotus, Immaculate), dimostrando quindi un certo range nell’interpretare la calma – ma comunque sempre sulle spine – Reality in un film che mira all’edificazione di un apparente senso di autenticità per riflettere e per fare luce su tutte quelle dinamiche che, “dietro le quinte”, operano per plasmare, controllare e governare la realtà. Pur aggiungendo poco sulla questione del whistleblowing in sé, Reality individua un proficuo e originale spazio di discussione sull’immagine cinematografica.

Daniele Sacchi