Francia, diciottesimo secolo. Durante una lezione di pittura, un’allieva chiede alla giovane insegnante Marianne (Noémie Merlant) il significato di una sua opera, intitolata Ritratto della giovane in fiamme. La domanda riporta alla mente di Marianne il suo incontro con Héloïse (Adèle Haenel), figlia di una contessa della Bretagna e promessa sposa di un nobiluomo milanese. Su richiesta dell’uomo e della madre (interpretata da Valeria Golino), Marianne si finge dama di compagnia per realizzare un ritratto di Héloïse a sua insaputa, dal momento che la ragazza si rifiuta di posare e di sposarsi.
Il film di Céline Sciamma, a partire dalla natura del suo intreccio, si propone come un vero e proprio viaggio di scoperta per i suoi personaggi, un viaggio in cui ciò che è nascosto, celato, invisibile riesce progressivamente ad emergere, imponendosi come tangibile, concreto, reale. Ritratto della giovane in fiamme è un film di donne sulla donna, un’opera che rimuove l’ostacolo dell’uomo – presente sullo sfondo delle vicende ma mai effettivo protagonista – per riflettere sulla spontaneità burrascosa dell’amore, in una tensione tra realismo e poesia che riesce a manifestarsi con tutta la sua vividezza grazie alle infinite possibilità offerte dal medium cinematografico.
In tal senso, infatti, Ritratto della giovane in fiamme riesce a far convivere senza alcun intoppo la propria brillantezza narrativa con gli aspetti più marcatamente tecnici che ne hanno caratterizzato la realizzazione. Dal frequente uso del match cut all’enorme peso dato alla componente visiva dell’opera (complice anche l’ottimo lavoro svolto dalla direttrice della fotografia Claire Mathon), il film di Céline Sciamma è una gioia per gli occhi. Lo spettatore viene letteralmente trascinato all’interno della storia di Marianne e Héloïse, aiutato anche dal ricorso ad elementi visivi dal forte impatto che si presentano e ripresentano in determinate occasioni, come il fuoco, la spiaggia o l’abito verde di Héloïse.
Persino il personaggio della serva Sophie (Luàna Bajrami) gioca un ruolo di raccordo importante nel corso dello sviluppo delle vicende del film, operando sulla trama ma allo stesso tempo richiamando con la sua figura la produzione pittorica di Jan Vermeer. Anche Rembrandt e Francisco Goya sembrano imporsi a più riprese come punto di riferimento importante, a partire dall’enfasi chiaroscurale data alla messa in scena degli interni sino ad arrivare ad impetuosi contrasti tra luci ed ombre. Tuttavia, al di là dell’aspetto puramente visuale (che per la ritrattistica richiama artiste spesso dimenticate come Élisabeth Vigée Le Brun e Angelica Kauffmann), Ritratto della giovane in fiamme si propone come esperienza percettiva totale lavorando anche sul sonoro, sebbene in sottrazione.
Le incursioni della colonna sonora, infatti, sono minime e interamente diegetiche. Céline Sciamma confeziona un film sul silenzio e sull’importanza dello sguardo, un film dove i rumori del mare sono più importanti di una qualsiasi parola espressa. Ritratto della giovane in fiamme indaga sul non detto, sul legame tra ciò che è tenuto nascosto a parole ma che in realtà è più presente che mai nell’attesa e nei piccoli gesti. E quando la musica finalmente irrompe sull’immagine, è impressionante, maestosa. Sciamma sceglie Le quattro stagioni di Antonio Vivaldi per stabilire una connessione con lo spettatore proseguendo così, simbolicamente, uno dei discorsi centrali del film: la sensazione di conforto e di amore prodotta dall’arte (cfr.).
Per usare un termine che normalmente si dovrebbe evitare, Sciamma ci propone un’esperienza cinematografica lenta, ma nella sua accezione più positiva. Ogni cosa accade nel momento in cui deve accadere, senza accelerazioni artificiali e con il massimo rispetto dato allo sviluppo della relazione tra i due personaggi principali del film, Marianne e Héloïse. Senza questa forma di rispetto “strutturale”, l’impatto emotivo di Ritratto della giovane in fiamme difficilmente sarebbe potuto essere lo stesso, tenendo conto peraltro del fatto che un importante sottotesto, la rilettura del mito di Orfeo ed Euridice, viene proposto a piccoli tratti nel corso del film per infine mostrarsi realmente per quello che è, un’architettura simbolica necessaria e irrinunciabile, rivestendo ulteriormente di senso l’elaborata visione artistica di Céline Sciamma.
Daniele Sacchi