È un’opera americana per un pubblico americano, Saturday Night, il nuovo film di Jason Reitman sulla nascita del celebre programma comico e di varietà Saturday Night Live. Il regista degli ottimi Thank You For Smoking, Juno e del più recente Ghostbusters: Legacy si concentra, in particolar modo, nel raccontare i momenti di poco antecedenti alla trasmissione televisiva della primissima puntata. La sera è quella dell’11 ottobre 1975 e da qui si deciderà il futuro per il programma: si tratterà di un successo oppure si rivelerà essere un disastro?
La risposta a questa domanda, con il senno di poi, è ovvia, e Reitman ne è ben consapevole. Piuttosto, il focus del film è direzionato verso la messa in scena di un vero e proprio divertissement a metà tra il caotico e il frivolo, una mimesi dei processi creativi (e degli eccessi) che hanno portato alla nascita dello show. A monte di tutto ciò, a fare da ago della bilancia sia per il lato più estroso sia per quello più disfunzionale del Saturday Night Live degli albori, troviamo la figura del creatore Lorne Michaels, interpretato da Gabriel LaBelle (lo abbiamo già visto nel meraviglioso The Fabelmans di Steven Spielberg). Michaels, pressato sia dal suo boss dell’NBC Dick Ebersol (Cooper Hoffman) sia dal talent executive David Tebet (Willem Dafoe), si troverà a dover gestire una vasta quantità di incidenti e di problemi con la troupe che metteranno a dura prova l’esito positivo della serata.
Girato quasi in tempo reale, Saturday Night offre poco in termini di sguardo storico o, persino, di pathos. È, invece, l’esplorazione di un piccolo microcosmo sull’orlo dell’autodistruzione che riesce a trovare una quadra solo grazie a una coordinazione puramente creativa che accarezza continuamente la possibilità di andare oltre al “limite”, pur senza mai realmente farlo. Nel coniugare la sorprendente espansività del testo televisivo di riferimento – un’opera corale realizzata da talenti dediti all’eccesso (da Chevy Chase a John Belushi, qui interpretati rispettivamente da Cory Michael Smith e da Matt Wood) che riesce comunque a massificarsi – con il gusto per il comico, il film di Reitman cerca di ergersi a un corrispettivo speculare dello stesso caos che rappresenta, ma rimanendo sempre entro una soglia rigida e controllata.
Resta, tuttavia, una barriera effettiva e tangibile per Saturday Night: la sua collocazione geoculturale. Per quanto apprezzabile nell’intento, nella frenesia registica – fin troppo ordinata, verrebbe da dire – e nell’ottima prova dell’ensemble attoriale, il film di Jason Reitman rimanda comunque a un contesto imperturbabile a un occhio esterno, fallendo di fatto nel trasmettere la presunta portata rivoluzionaria di ciò che va rappresentando. Un esito che, forse, potrebbe intaccare lo stesso sguardo statunitense (il Saturday Night Live di oggi, d’altronde, non è il Saturday Night Live di cinquant’anni fa), visto che il film non sembra mai voler realmente indagare, limitandosi invece ad esibire. Una scelta che, da un lato, può indubbiamente far piacere e divertire, ma che dall’altro lascia poco, se non i riflessi sbiaditi di un certo cinema alla Sorkin o alla McKay.
Daniele Sacchi