I centri di cura pronti ad accogliere il nuovo “regno animale” portato in scena da Thomas Cailley in The Animal Kingdom assomigliano più a dei centri di detenzione forzata, odierni manicomi pronti a nascondere gli indesiderati dalla sfera pubblica. È in questo luogo che vengono trasportate le persone che, in seguito ad una misteriosa “malattia”, si trovano a dover fare i conti con una serie di mutazioni che piano piano finiscono per trasformare i loro corpi umani in corpi animali. Lo sanno bene i protagonisti del film, François (Romain Duris, ricordiamo la sua grande interpretazione in Tutti i battiti del mio cuore di Jacques Audiard) e il figlio adolescente Èmile (Paul Kircher, già visto in Le Lycéen di Christophe Honoré), che stanno vivendo da vicino questa situazione.
Infatti Lana, moglie di François e madre di Èmile, trasformatasi in un animale dalle sembianze feline, è stata costretta alla reclusione forzata proprio in uno di quei centri di accoglienza che si propongono di trovare un rimedio alla misteriosa condizione. Durante un trasporto dei “pazienti” del centro, tuttavia, le creature riescono a causare un incidente e a fuggire, rifugiandosi in seguito nella foresta. Grazie al supporto morale della poliziotta Julia (Adèle Exarchopoulos), François troverà la forza di andare avanti, mentre Èmile dal canto suo affronterà il suo personale percorso di crescita, viziato da un singolare mistero che finirà per gravare sulle sue relazioni e sulla sua vita.
A metà tra un racconto di formazione e un X-Men in salsa francese (privato però della sua dimensione supereroistica), The Animal Kingdom mette in scena con una lodevole semplicità un discorso tutt’altro che banale sul rispetto dell’alterità e sulle transizioni che possono abbracciare il nostro vissuto. Thomas Cailley lavora molto bene in particolare sulle relazioni tra i personaggi, nel sottolineare la complessità della situazione familiare di Èmile e François sia nelle crisi che devono affrontare, sia nell’individuare con precisione i punti di contatto che li legano. Importante, in tal senso, è anche il confronto tra Èmile e i suoi compagni di scuola (come nel caso di Nina), nonché i suoi continui incontri con l’uomo-uccello Fix, figura con la quale Èmile svilupperà un’affinità peculiare grazie agli elementi che li avvicinano.
Evitando di cadere in un vacuo “animalismo”, The Animal Kingdom è in realtà una pacifica esplorazione dell’umanità nella sua caducità trasformativa. Senza pendere mai né da un lato né dall’altro, The Animal Kingdom riesce a darsi come un sobrio affresco familiare in grado di esaminarne le dinamiche in modo classico (e con una certa serietà di fondo) pur mantenendo sempre vivo il suo spirito fantastico. Merito anche del make-up delle creature, mai sopra le righe, e di uno sguardo registico che non lesina nel mostrare da vicino i dettagli di alcune trasformazioni, riuscendo anche a pungere – seppur limitatamente – sul piano visivo.
Uno spunto di riflessione ulteriore che The Animal Kingdom può sicuramente lasciare al pubblico italiano – o meglio, un’amara considerazione – è il ragionare sul perché la nostra cinematografia non riesca ad essere al giorno d’oggi così proficua e varia come quella francese, che tra film d’autore, commedie sagaci, kolossal piacevoli (pensiamo al recente I tre moschettieri o al prossimo Il conte di Montecristo) e coming of age dalle tinte semi-fantasy come il film di Cailley si dimostra piena di vita.
Daniele Sacchi