È curioso come uno dei più grandi e importanti film di animazione della storia del cinema sia un prodotto che non possa di fatto essere pienamente fruito e compreso senza una previa conoscenza della serie per la quale si propone come effettiva conclusione. The End of Evangelion (1997), infatti, è un’opera che cerca di chiudere gli eventi lasciati in sospeso negli ultimi episodi dell’anime Neon Genesis Evangelion (1995-1996), riscrivendone il finale e proseguendo allo stesso tempo il tentativo avviato con il film Neon Genesis Evangelion: Death & Rebirth (1997) di offrire una prospettiva diversa sul lavoro di Hideaki Anno, tramutandone lo statuto seriale in pura esperienza cinematografica.
Se in Death & Rebirth, però, ci troviamo di fronte ad una prova filmica impacciata che cerca di condensare i contenuti dell’anime in un riassunto parziale, tradendone natura e scopo, nel caso di The End of Evangelion possiamo invece osservare come vi siano nel complesso un insieme di intenti autoriali che attribuiscono all’opera una direzione precisa, ponendola in netta continuità con il materiale di riferimento originario. Il film di Anno si dà infatti come una forte ripresa della profondità tematica e strutturale della serie, rielaborando attivamente la sua natura frammentaria, contorta e imprevedibile con una potenza visiva e narrativa tale che riesce a fornire, a modo suo, una chiusura soddisfacente a ciò che, a prima vista, sembrerebbe irriducibile al suo intero. The End of Evangelion libera Hideaki Anno da specifiche necessità di produzione e di format: pur mantenendo una certa coerenza interna con la suddivisione episodica di Neon Genesis Evangelion (il film è diviso in due parti, 25’ e 26’, che sostituirebbero idealmente gli episodi 25 e 26 della serie), la narrazione non si trova più ad essere ingabbiata dai dogmi della serialità, offrendo nuove opportunità espressive non solo grazie alla dilatazione del minutaggio, ma anche grazie ai diversi tempi produttivi e al budget a disposizione.
Per quanto riguarda l’intreccio, The End of Evangelion ricomincia con la sua prima parte, denominata Air / Love is destructive, dove l’episodio 24 si era concluso. L’organizzazione Seele ordina alle forze militari giapponesi di prendere possesso della Nerv, un’agenzia incaricata di combattere la minaccia di alcune particolari entità, gli Angeli, con l’utilizzo di speciali unità da combattimento chiamate Evangelion. La Seele avrebbe scoperto il tradimento attuato nei loro confronti dal comandante della Nerv, Gendō Ikari, e intende requisire l’agenzia per portare a compimento il misterioso “Progetto per il Perfezionamento dell’Uomo”. Parallelamente, Shinji, figlio di Gendō e pilota dell’unità Eva-01, è emotivamente distrutto dopo l’assassinio dell’amico Kaworu, il 17esimo Angelo, e non è psicologicamente in grado di poter continuare a combattere per la Nerv. Senza entrare troppo nei dettagli della trama, anche per non rovinarne la visione, The End of Evangelion sembra apparire a prima vista, a partire dall’idea stessa che ne ha portato al concepimento, come un’antitesi di Neon Genesis Evangelion piuttosto che come suo effettivo e naturale compimento.
Com’è possibile dunque fornire una chiusura razionale a un’opera che è sempre stata guidata dall’irrazionale, dal non detto, dal primordiale, senza tradirne l’intento decostruttivo e addirittura cancellando materialmente la messa in scena della dissoluzione più completa e totale di tutto il narrato mostrata negli episodi conclusivi della serie? La risposta per Hideaki Anno – e, per estensione, anche per i collaboratori del regista giapponese, tra i quali citiamo Shinji Higuchi e Kazuya Tsurumaki – è semplice e allo stesso tempo incredibilmente complessa da mettere in atto. Anno, come si rende evidente soprattutto nella seconda parte del film (intitolata nella versione italiana A te, il mio animo sincero / I need you) non ha mai abbandonato i propri fini destrutturanti, un sentimento e una volontà autoriale che è ancora oggi percepibile nel progetto Rebuild of Evangelion, dove la “ricostruzione” del titolo sembra quasi una presa di posizione ironica in virtù di quello che a conti fatti si dà come un ulteriore processo di ridisposizione frammentaria del racconto originario, con conseguenti ramificazioni e percorsi imprevisti che emergono a loro volta.
Il regista giapponese, in The End of Evangelion, sovverte ciò che è già, in potenza, sovvertito, riconducendolo inizialmente ad un’unità, ad un intero, riposizionando così lo spettatore nel conosciuto ed eliminando lo spaesamento, l’urto, lo shock della conclusione originale di Neon Genesis Evangelion, per poi far collassare nuovamente le fondamenta di ogni costruzione, rendendo materialmente visibile l’artificialità di ogni ordine e struttura. Hideaki Anno riconsegna così allo sguardo spettatoriale un simulacro dell’esperienza parcellizzata della serie, ribadendone allo stesso tempo l’identità complessiva. Inizialmente, lo spettatore entra in contatto con una realtà conosciuta e appagante che richiama gli episodi più tradizionalmente lineari della serie: finalmente, sembra che il “vero” finale abbia inizio, dopo la confusione scaturita perlopiù dagli ultimi due episodi (anche se Neon Genesis Evangelion è interamente permeato da sottotesti impliciti ed espliciti di non immediata comprensione).
La linearità narrativa sembra prendere il sopravvento, a partire dai combattimenti di chiara impronta action tra l’Eva-02 di Asuka e le forze militari giapponesi sino ad arrivare agli onnipresenti tormenti interiori di Shinji. Presto tuttavia diventa evidente come l’appoggio al consolidato sia solamente un trucco, un espediente, uno stratagemma ben realizzato per giungere, improvvisamente, ad una nuova rottura. Nel momento in cui il “Progetto per il Perfezionamento dell’Uomo” inizia ad assumere i tratti di una realtà manifesta e tangibile, non più legata solamente al dominio dell’astratto, dell’introspettivo, del psicologico, l’operazione condotta da Anno in The End of Evangelion inizia a dare i suoi frutti. Il regista giapponese sfrutta al massimo le potenzialità espressive del medium audiovisivo: il rehash del già visto sparisce per lasciare spazio a cascate di immagini che diventano traduzione poetica e visuale del sentimento della fine, dove la possibilità dell’annichilazione si scontra con la volontà di proseguire, di andare avanti. Nella manifestazione concreta della tensione tra le inscindibili pulsioni di vita e di morte, Hideaki Anno ci mostra lo scontro tra la speranza per il futuro e la cessazione di ogni cosa, con il tema della (dis)connessione con l’alterità che funge da collante all’intera esperienza proposta dall’universo narrativo da lui creato. The End of Evangelion, insieme a Neon Genesis Evangelion, è dunque un vero e proprio saggio sull’uomo, sul rapporto con l’altro e, soprattutto, sul vasto orizzonte di tutto ciò che è inespresso ma che, in un modo o nell’altro, si dà come sempre presente. Un’opera imperdibile.
Daniele Sacchi