Le ossessioni storico-letterarie di Robert Eggers si manifestano in una nuova forma esplosiva nel suo terzo lungometraggio, The Northman, il primo per il regista statunitense a godere di un alto budget. Dopo aver esplorato le derive folk horror del New England seicentesco in The Witch e dopo aver coniugato le peculiarità dei racconti marinareschi con la mitologia greca in The Lighthouse, Eggers individua nelle saghe vichinghe e norrene l’orizzonte espressivo come base per il suo ultimo film. Affiancato nella stesura della sceneggiatura dal poeta islandese Sjón, il visionario autore reinterpreta le vicende riguardanti l’Amleto pre-shakespeariano – come narrato nei Gesta Danorum – in un brutale revenge movie, un film in perfetto equilibrio tra le sue frequenti incursioni arthouse e la necessità di presentare un intrattenimento visivo offerto dalle prospettive della messa in scena di un’epopea vichinga.
Con The Northman, Robert Eggers si muove tra sensazioni primordiali fondamentali, esplorando il desiderio viscerale di vendetta provato da Amleth (Alexander Skarsgård) nei confronti dello zio Fjölnir (Claes Bang), colpevole insieme ai suoi guerrieri di aver trucidato il padre del ragazzo, re Aurvandill (Ethan Hawke), e di essersi impossessato del suo regno. Amleth fugge lasciando le coste norvegesi, promettendo però a se stesso di tornare per vendicare il padre e per salvare la madre Gudrún (Nicole Kidman). Molti anni dopo, Fjölnir, ormai spodestato, viene esiliato in Islanda, mentre Amleth, ora guerriero berserkr, si finge schiavo per cercare di infiltrarsi nella sua fattoria, aiutato dalla sacerdotessa slava Olga (Anya Taylor-Joy).
Nonostante la linearità del soggetto, Eggers concentra nella costruzione dell’immaginario del suo film una precisa intensità segnica rendendola inseparabile dalla matrice strutturale del suo racconto, alla ricerca di una vividezza simbolica inusuale ma veritiera. In The Northman, tutto è finzione e allo stesso tempo è realtà, l’accuratezza storica (o perlomeno la sua forsennata ricerca) si immerge di substrati inconsci, visioni mitizzanti e esperienze oniriche.
Dal realismo selvaggio che si può respirare, ad esempio, nel feroce assalto di un villaggio nella terra dei Rus, con i guerrieri vichinghi visibilmente colti da un’estasi animalesca bestiale e reboante, si passa senza soluzione di continuità al rito allucinatorio del folle Heimir (Willem Dafoe) e alle parole profetiche della Veggente di Svetovit, interpretata da Björk, di nuovo sul grande schermo 22 anni dopo la traumatizzante esperienza di Dancer in the Dark. E ancora: tra misteriosi interventi corvini e lotte corpo a corpo con gli spiriti, in The Northman vi è anche spazio per la brutalità del quotidiano, sacrifici di sangue e, in particolare, per una violentissima partita di knattleikr, un antico sport vichingo. Da questo punto di vista, nella commistione tra le insorgenze del reale e le coltri fumose del mito, Robert Eggers rileva nella ricerca di vendetta del suo protagonista quell’elemento essenziale in grado di riuscire a tenere saldamente uniti il concreto e l’imperturbabile.
Grazie alla messa in atto di questo processo di sintesi estetizzante, The Northman assume i tratti di una pura narrazione mitologica, non come rielaborazione ma in quanto mito a sua volta: il mito dell’uomo del nord, plasmato sulle gesta di un Amleto rabbioso, prono ad errori ma capace di individuare la complementarietà nell’opposizione, accettando l’inevitabilità fatalista delle sue scelte di vita ma lasciandosi parallelamente trasportare dalla credenza nell’unione salvifica con l’alterità, qui rappresentata dal personaggio di Olga, lontana sotto un profilo culturale e valoriale, ma per Amleth intensamente vicina da un punto di vista umano. Dove potrebbe esserci un nuovo scontro, Amleth trova invece desiderio di vita e comunione di intenti: non è sufficiente a scacciare il tormento di un’esistenza intera, ma è una prospettiva sufficiente per trovare la forza per un ultimo scontro con i propri demoni.
Dopo aver realizzato due pilastri dell’horror contemporaneo come The Witch e The Lighthouse, con il cambio di genere di The Northman Eggers dimostra – qualora ce ne fosse ancora bisogno – di possedere una grande personalità registica ed autoriale, muovendosi tra numerosi testi letterari, fonti storiche ed artistiche trasformando il già visto, il conosciuto, l’usuale in nuove frontiere di senso, suggestioni atmosferiche ed immaginari evocativi.
Daniele Sacchi