The Order di Justin Kurzel, la recensione del film

The Order

Con The Order, Justin Kurzel mette da parte la sua indagine sui traumi della Storia australiana perseguita nei precedenti True History of the Kelly Gang e in Nitram per buttarsi a capofitto in un’analisi sociopolitica strettamente legata al contesto nordamericano contemporaneo. Siamo nel 1983 in Idaho, Stati Uniti, e la violenza è all’ordine del giorno. Un’ondata crescente di rapine sempre più brutali e assalti a furgoni blindati sta seminando il panico in tutti gli Stati Uniti settentrionali, ma un agente dell’FBI (Jude Law) sembra aver scoperto il filo che unisce tutti questi crimini tra di loro: si tratta, infatti, dell’azione di un gruppo di estremisti neonazisti che starebbero orchestrando un attacco mirato contro il governo statunitense.

Kurzel conduce la sua analisi con i toni di un thriller poliziesco cupo e permeato da un persistente senso di angoscia che coinvolge l’immagine cinematografica dall’inizio alla fine. Nello specifico, il regista australiano individua nelle azioni del gruppo suprematista The Order il punto di partenza critico di una precisa deriva del pensiero, un percorso dell’odio che, purtroppo, non ha ancora cessato di tracciare le sue vie, giungendo incontrastato sino ai giorni nostri (pensiamo ad esempio all’assalto a Capitol Hill del 2021). Se già in Nitram Kurzel si era espresso sulla questione del gun control partendo dal particolare – il massacro di Port Arthur del 1996 in Australia – per arrivare all’universale, in The Order il regista si lascia trasportare da un discorso molto simile, andando a puntare il dito contro le frange più estremiste dell’alt-right americana.

Nel film, Nicholas Hoult – perfettamente calato nella parte – interpreta il leader di The Order, Bob Mathews. Ispirandosi al romanzo The Turner Diaries, Bob architetta uno stratificato piano terrorista per colpire direttamente il governo americano. Kurzel prende le mosse da un presunto desiderio unificante del gruppo The Order per mostrare come le loro azioni siano in realtà guidate da una hybris incontrollabile, la quale si autolegittima a partire dalle ambizioni distruttive del suo leader. La personalizzazione della causa si muove addirittura attraverso il rovesciamento del potere costituito interno, quello delle Aryan Nations di Richard Butler, trasformando progressivamente Bob in una scheggia impazzita.

Nel tratteggiare la personalità burrascosa di Mathews, Kurzel opta per una continua giustapposizione tra le magnifiche panoramiche dei paesaggi nordamericani con numerosi e serrati primi piani che scavano nelle cupe personalità di questi agenti del caos, riflettendo visivamente il dualismo tra la bellezza della natura e la brutalità umana. L’imperturbabile agente FBI Terry Husk, la collega Joanne (Jurnee Smollett) e il giovane ufficiale locale Jamie Bowen (Tye Sheridan) cercheranno quindi di fare breccia in questo muro dell’odio all’apparenza inscalfibile, tra indagini via via sempre più inquiete e sequenze action intense e ben calibrate.

Nel complesso, The Order non è qualcosa di particolarmente nuovo o originale, ma appare senza ombra di dubbio come un film brillante nel suo cercare di mettere in evidenza un certo tipo di tensione sociopolitica, di immaginario nazi-machista, ritualisticamente perverso nella simbologia e nelle pratiche. Il gruppo The Order, di fatto, ha tutti i connotati tipici di una setta, a partire da alcuni elementi che individuano Bob Mathews come una guida e un santone, nonché le pratiche d’iniziazione, le ossessioni sulla “razza”, le derive antisemitiche e discriminatorie. In tal senso, è sintomatico – e dovrebbe far riflettere a lungo – che un film del genere sia stato realizzato da un regista australiano, con una produzione canadese alle spalle.

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Daniele Sacchi