La complessità nel portare sul grande schermo un’opera pensata per il teatro risiede nel comprendere come linguaggio filmico e linguaggio teatrale siano, se non opposti, comunque non sovrapponibili. Di fatto, considerando il teatro come un medium inscindibile a una performance dal vivo (attoriale e di messa in scena) fisicamente prossima allo spettatore, è evidente come il cinema non disponga di queste specifiche unicità. Se il teatro evoca infatti ciò che non può mostrare, il compito del cinema è quello di capire in che forma mostrarlo. Portare sullo schermo, come nel caso dell’opera prima The Piano Lesson firmata Malcolm Washington, un adattamento assimilabile al “teatro filmato” comporta, di conseguenza, svestire sia il cinema che il teatro dei rispettivi punti di forza.
Produzione Netflix e attualmente disponibile sulla piattaforma, The Piano Lesson, dal soggetto di August Wilson, ha come protagonista la famiglia Charles, residente nella Pittsburgh del 1936. Reduci da un passato di schiavitù, i Charles conservano come cimelio più prezioso un pianforte intagliato da un antenato a testimonianza del loro vissuto. Al tempo presente, il bisnipote Boy Willie (interpretato dal fratello del regista, John David Washington) vorrebbe vendere il piano così da acquistare il terreno dell’antica famiglia schiavista Sutter, questo contro il volere della sorella Berniece (Danielle Deadwyler). Ne nasce un conflitto familiare diviso in due fazioni: la prima, capitanata da Willie Boy, convinta che l’eredità passata debba essere sacrificata in virtù di un futuro più prospero, la seconda, rappresentata da Berniece, che legge l’atto come un sacrilegio nei confronti dei loro antenati e della loro storia.
Malcolm Washington fatica, purtroppo, a uscire dalla formula teatrale, riducendo il dibattito alla base del film in una poco filtrata verbosità. Lunghe sequenze di persone sedute, o in piedi, che parlano nello spazio ristretto di una singola stanza, riferendosi a più riprese a situazioni o ad altri personaggi esterni alla narrazione. Ne risulta una visione pressoché monotona e poco interessante, nonostante il tentativo del regista di apportare maggiore dinamicità mediante brevi flashback e veloci suggestioni visive. Gli stessi attori, per quanto ottimi nelle performance singole, sembrano recitare in una serie di bolle individuali, in una generale carenza di reciprocità. La tendenza appare evidente soprattutto nel personaggio di Willie Boy, e risulta attenuata nel maggiore allineamento del resto del cast.
Al macro-genere del dramma familiare, The Piano Lesson accosta una sotto trama dalla sfumatura horror. Questo secondo filone rimane per lo più sottosviluppato rispetto al principale e, fatta eccezione per le sequenze finali, risulta debole e poco valorizzante alla narrazione. A livello di musiche e fotografia la pellicola risulta comunque raffinata e ben confezionata e, data la fedeltà alla sceneggiatura teatrale, il film può risultare piacevole soprattutto ad un pubblico particolarmente avvezzo a questo linguaggio. In linea generale, l’opera di Washington risulta purtroppo un prodotto scolastico e privo di personalità propria, probabilmente anche in virtù dell’ancora poca esperienza del regista dietro la macchina da presa.
Beatrice Gangi