A 36 anni dal cult di Tony Scott, l’attesissimo sequel di Top Gun è arrivato finalmente nelle sale dopo i numerosi rinvii a causa della pandemia Covid. Top Gun: Maverick è una buona operazione nostalgia, un more of the same in grado di riproporre i medesimi meccanismi del capitolo precedente aggiornandoli alle esuberanze tecniche e agli spettacolarismi del contemporaneo.
Come mette in chiaro anche il titolo, non può esserci Top Gun senza Pete “Maverick” Mitchell (e per estensione senza Tom Cruise), un personaggio che appare invecchiato non solo nell’aspetto ma anche nell’attitudine, un eroe di un altro cinema, anacronistico e démodé. In 30 anni di brillante carriera come pilota, Maverick ha sempre rifiutato la promozione ad ammiraglio per dedicarsi invece pienamente al volo, nonostante lo scetticismo dei suoi superiori.
In seguito ad un incidente, Maverick viene tuttavia inviato nuovamente alla scuola di combattimento Top Gun della marina militare, con il compito di formare una squadra di piloti per prepararli allo svolgimento di una missione segreta. Tra i giovani spiccano due talenti del volo: lo spericolato Hangman (Glen Powell) e il più cauto Rooster (Miles Teller). I fantasmi del passato legano direttamente quest’ultimo a Maverick, in quanto figlio dello scomparso Goose, deceduto nel corso del film precedente.
La sfera del rimando risalta come una componente fondamentale del film di Joseph Kosinski. Il regista infatti decide di omaggiare a più riprese l’opera di Scott, a partire da richiami più espliciti (come per il ritorno in scena di Iceman, nuovamente interpretato da Val Kilmer) sino ad arrivare a questioni meramente strutturali, come nella volontà di riproporre anche in questo film una stucchevole storia d’amore che poco aggiunge alla trama complessiva, un retaggio marcatamente 80s poco sensato in un orizzonte contemporaneo. Sprecata, da questo punto di vista, la prova di Jennifer Connelly, poco contestualizzata e meno centrale rispetto al personaggio di Charlie in Top Gun, inspiegabilmente assente da questo secondo capitolo.
Ciò in cui brilla maggiormente Top Gun: Maverick è ovviamente da ricercarsi nella spettacolarità delle sequenze di volo, in particolare nei virtuosismi registici e nel montaggio rapido che, specialmente nell’ultimo atto del film, regalano momenti al cardiopalma, prevedibili nello sviluppo ma formalmente ineccepibili. Ben costruita, in tal senso, la dinamica chiave che tiene in piedi l’intera narrazione di questo sequel, quella tra Maverick e Rooster, due figure in costante contrapposizione/vicinanza non solo a terra ma anche – e soprattutto – in volo.
Nonostante le ingenuità e l’evidente egotismo eroico cruisiano che permea tutto il film, Top Gun: Maverick è, nel bene e nel male, esattamente ciò che ci si aspetterebbe da un sequel del Top Gun di Tony Scott. Nulla di più, nulla di meno.
Daniele Sacchi