Rahim Soltani (Amir Jadidi) è in prigione per un debito non saldato. La compagna Farkhondeh (Sahar Goldoost) trova una borsa piena di monete d’oro e Rahim, durante un giorno di permesso, medita di usare il denaro per ripagare parte del suo debito. Alla fine, però, decide di restituire la borsa e di ritornare in prigione. Presto la notizia del suo gesto si diffonde: Rahim viene percepito pubblicamente come un eroe, il prigioniero moralmente corretto che invece di migliorare la propria condizione individuale ha deciso di anteporre il benessere del prossimo. Sembra andare tutto bene per l’uomo, almeno finché lo scetticismo e il dubbio sulla sua storia inizieranno ad avere la meglio.
Come in ogni dramma farhadiano, la verità viene seppellita sotto strati di diffidenza, le ingiustizie sociali si fanno opprimenti, l’apparente coltre di benevolenza e generosità nei confronti dell’altro lascia spazio all’indifferenza e al biasimo. Un eroe è un’ulteriore presa di posizione per Asghar Farhadi sullo stato della società iraniana, ma anche su processi più universali che coinvolgono i media, dalla televisione ai social, e che riguardano da vicino la cannibalizzazione del vero in favore di “nuove verità”, dai contorni sfumati, costantemente rimodulabili.
Rahim da eroe si trasforma lentamente in una nuova vittima. Ci mette anche del suo, l’uomo, incapace di gestire la pressione sociale e la progressiva delegittimazione della sua figura. Da questo punto di vista, Farhadi trasporta lo spettatore in un microcosmo ben delineato, mettendo a nudo il vissuto più intimo di Rahim, a partire dalla sua situazione familiare sino a sviscerare la natura del suo debito, passando allo stesso tempo anche dalla sua relazione segreta con Farkhondeh e dalla quotidianità carceraria.
L’incedere narrativo di Un eroe è lineare, Farhadi non raggiunge l’intensità drammatica di Una separazione e de Il cliente, ma vi è un continuo movimento interno nell’intreccio che lentamente mette a nudo le rigidità del contesto che circonda Rahim. In questo orizzonte, i media svolgono un ruolo caotico e perturbante, trasformando richieste legittime, apparentemente mosse in onore del vero, in effettive occasioni per riplasmare la realtà a proprio piacimento. E così tutto muta, i fatti cambiano, Rahim perde la sua integrità nell’atto stesso di difenderla: ormai è un eroe incompreso, un eroe che non è più tale e che, forse, non lo è mai stato nemmeno in partenza.
Per Rahim, dinanzi alle macchinazioni distorte del reale, non può che conseguire l’accettazione della propria marginalità all’interno di un contesto guidato da derive manipolatrici e truffaldine, dove il debito più importante da ripagare non è tanto quello economico, bensì quello sociale. Con Un eroe, Asghar Farhadi cerca di ritrovare un orientamento per uno sguardo che però è ormai rassegnato – pensiamo specialmente alla sequenza conclusiva del film – e spento di fronte alle trame del reale: perché, in fondo, è di trame, di rielaborazioni, di finzioni che si sopraelevano a datità concrete ciò di cui si sta parlando. La verità non conta più.
Daniele Sacchi