“Upgrade” di Leigh Whannell – Recensione

Upgrade

Aggiornamento tecnologico, human enhancement, ibridi uomo-macchina: il secondo lungometraggio di Leigh Whannell – regista conosciuto soprattutto per aver sceneggiato alcuni dei film di James Wan (tra cui il primo Saw – L’enigmista, dove peraltro interpreta il ruolo del protagonista) – esplora a fondo una serie di tematiche che si legano fortemente alla nostra realtà contemporanea, circoscrivendole in un actionthriller dalle tinte fantascientifiche che, volendo, non sfigurerebbe come episodio di Black Mirror. Upgrade (2018) ha, infatti, molti tratti in comune con la serie antologica prodotta da Charlie Brooker, a partire dall’integrazione di alcune prospettive future con situazioni invece già presenti nella nostra epoca sino ad arrivare al tono cupo e a tratti tragico della narrazione.

Il punto di partenza del film di Whannell è proprio un dramma personale. Un gruppo di individui dirotta l’automobile a guida autonoma di Asha (Melanie Vallejo), moglie del meccanico Grey Trace (interpretato da Logan Marshall-Green), per poi ucciderla violentemente. Grey, rimasto paralizzato in seguito all’apparentemente immotivata aggressione, decide di investigare sull’omicidio di Asha dopo che il leader di un’azienda produttrice di potenziamenti biomeccanici impianta nel suo corpo un potente microchip, lo STEM, capace di restituire all’uomo la padronanza dei suoi arti. In un mondo molto simile al nostro, ma nel quale il progresso tecnologico sta cambiando le abitudini e offrendo nuove possibilità all’umanità, Grey si troverà di fronte a diversi dilemmi etici e morali quando scoprirà che lo STEM può comunicare con lui.

Upgrade

In Upgrade, dunque, Leigh Whannell prende le mosse dalla singola esperienza individuale per costruire progressivamente un discorso che tocca diversi punti critici e singolarità specifiche sulla tecnologia e sulla sua applicazione. Non vi è nulla di incredibilmente originale o di nuovo nella riflessione proposta da Whannell, che si sofferma maggiormente sull’ormai vetusto tema dello scontro tra uomo e macchina, però è interessante notare come dalla particolarità della storia del protagonista si possa tentare di astrarre concetti applicabili universalmente.

A tal proposito, la peculiarità di Upgrade, come anticipato nel paragone con Black Mirror, è il sottotesto cinico che permea il film sin dai suoi momenti iniziali. Lo stesso Grey si mostra scettico sulle nuove frontiere della tecnologia, preferendo ad esempio un’automobile tradizionale rispetto al modello iperavanzato utilizzato dalla moglie. Nel corso dello sviluppo della trama del film, diventa mano a mano sempre più evidente come la diffidenza iniziale di Grey, insieme alla scelta egoistica di tradire i propri valori per perseguire un chiaro percorso di vendetta, sia in realtà il punto centrale del ragionamento di Leigh Whannell.

I timori sono indirizzati verso l’abuso della teconologia in sé. In tal senso, il regista e sceneggiatore australiano riserva un grande spazio anche alla rappresentazione materiale degli effetti dell’enhancement mentale e corporeo dell’essere umano. Particolarmente interessanti sono, da questo punto di vista, le protesi ed estensioni utilizzate degli assassini di Asha, che hanno potenziato e perfezionato il proprio corpo attraverso l’innesto di armi nei loro arti. Se Grey riesce attraverso il suo enhancement, lo STEM, a camminare nuovamente, nel caso dei criminali ci troviamo di fronte ad una deriva estremamente negativa e pericolosa per l’individuo e per la società. Deriva che, in modo differente ma affine, riguarderà anche lo stesso STEM. Se da un lato è un peccato che la risoluzione di Upgrade sia leggermente affrettata, dall’altro lato non si può non apprezzare il coraggio narrativo di Whannell in alcune soluzioni e punti di vista, segno di una maturità – anche stilistica – che troverà poi conferma nel più recente L’uomo invisibile (2020).

Daniele Sacchi