Riflettere sul presente è un’operazione complessa. Vi è in primo luogo il problema di stabilire i limiti entro i quali si può effettivamente parlare di una contemporaneità, nonché gli aspetti che dovrebbero definire la nostra epoca, mentre in una fase successiva si presenta come necessario anche il pensare a come farlo, e nello specifico a come effettivamente provare a diffondere una precisa visione storicizzata del nostro tempo. Vox Lux, il secondo lungometraggio diretto dall’attore e regista statunitense Brady Corbet, propone un punto di vista singolare per mostrarci il proprio ritratto del 21esimo secolo.
Il film inizia all’alba del terzo millennio. È l’inverno del 1999, l’anno del massacro alla Columbine – come ci ha raccontato, tra gli altri, Gus Van Sant in Elephant – e la giovane Celeste (Raffey Cassidy) è sopravvissuta miracolosamente ad una sparatoria avvenuta nella sua scuola. La ragazza si esibisce insieme alla sorella Ellie (Stacy Martin) ad un evento in memoria delle vittime della strage, il brano viene apprezzato da un manager (Jude Law) e diventa presto una hit. È solo l’inizio della lunga carriera di Celeste (interpretata in età adulta da Natalie Portman), costellata da grandi successi ma anche da episodi controversi e singolari, come nel caso di un gruppo terroristico che durante una sparatoria indossa delle maschere simili a quelle visibili nel primo video della cantante.
Vox Lux è un A Star is Born privato dalla componente narcisistica e autocelebrativa di Hollywood, un’apparente storia di formazione che, in netto e aperto contrasto con quella che sembra inizialmente la propria identità, fa collassare la propria struttura per muoversi al di là della sua mera idea narrativa, diventando pura rappresentazione dell’artificio. Il momento di rottura per Corbet è rappresentato dal crollo delle Torri Gemelle, una tragedia che tutt’oggi persiste in quella che Baudrillard definiva nella forma dell’immagine-evento: un’immagine talmente potente, nella sua drammaticità, da imprimersi per sempre nella memoria collettiva.
La realtà dell’epoca post-11 settembre è un mondo che ci viene presentato attraverso gli occhi di Celeste. La Celeste adulta, tuttavia, non è più la ragazza che abbiamo imparato a conoscere durante il periodo dell’elaborazione del trauma della sparatoria a scuola. Il passato non esiste più, è cristallizzato, tramutato in un lontano ricordo. La frammentazione è, così, totale. Brady Corbet attua, in tal senso, una scelta particolare nel ripresentarci l’attrice Raffey Cassidy in un nuovo ruolo, come a volerci mostrare direttamente la morte simbolica della giovane Celeste, riproponendola dunque in una forma simulacrale, visivamente presente ma, in realtà, assente.
La nuova Celeste è una persona schietta e incredibilmente convinta dei valori di cui si fa portatrice, ma allo stesso tempo è consumata dalla fama e dal successo, come testimoniato nella gestione dei rapporti famigliari. Inoltre, le sue canzoni sono catchy ma banali, la presentazione scenica del suo spettacolo è maestosa ma i testi sono una collezione di aforismi per teenagers. Il nuovo album di Celeste viene presentato come una riflessione fantascientifica sul tempo, ma l’unica costante che traspare dalla sua persona e dai risultati del suo lavoro è il rapporto travagliato tra l’essere umano e il presente.
La contemporaneità rappresentata da Corbet in Vox Lux è dunque un buon ritratto dell’alienazione e della frammentazione dei rapporti umani nell’ottica di una rilettura delle tematiche fondamentali del nostro tempo, ma è anche un film che si protrae a lungo sull’inessenziale, trattando l’oggetto della sua indagine con una distanza che un po’ tradisce il senso dell’intera operazione. Se da un lato vi è una presa di posizione netta sullo stato di ciò che ci circonda, dall’altro è innegabile come una certa pochezza espressiva di fondo abbia impedito a Vox Lux – che peraltro è guidato da un’ottima prova attoriale delle due Celeste – di essere quello che voleva essere.
Daniele Sacchi