Eunice Kathleen Waymon, divenuta famosa con il nome di Nina Simone, è una delle voci più emblematiche del secolo scorso, nota non solo per i suoi successi musicali all’inizio della sua carriera, ma anche per l’impegno civile contro la discriminazione razziale negli Stati Uniti a fianco dei nomi più noti del movimento, tra cui Malcolm X, Martin Luther King o Stokely Carmichael. Il documentario distribuito da Netflix del 2015 What Happened, Miss Simone?, diretto da Liz Garbus, racconta i momenti più significativi della vita privata e della carriera della cantante, unendo una moltitudine di fonti, tra video d’archivio, testimonianze dirette, interviste e lettere personali.
Uno dei tratti più distintivi di Nina Simone, oltre alla sua voce, è sicuramente il modo di stare sul palco, guidato dalla stoicità con cui seduta al piano, con un’espressione spesso assente e apatica, trasmette un sentimento profondo che altrimenti sarebbe rimasto nascosto. La ricostruzione passo passo della sua carriera e della sua vita aiuta a comprendere e ad approfondire questo sentimento, permettendo al canto di raggiungere – o meglio di colpire – lo spettatore in maniera ancora più incisiva. Come sostenuto dalla stessa Simone in una dichiarazione contenuta nel documentario, lo scopo della sua musica e della sua potenza è quello di smuovere e incuriosire chi la ascolta, in particolare la gioventù afroamericana di quegli anni. Questo è stato, forse, il suo contributo più importante alla lotta per l’uguaglianza in un epoca pre-internet in cui determinate informazioni non erano sempre alla portata di tutti: un punto di svolta, in tal senso, per la carriera dell’artista è il pezzo Mississippi Goddam del ‘64.
Liz Garbus non è di certo nuova al genere del documentario e in What Happened, Miss Simone? riesce perfettamente a trasmettere e a rendere tangibile la rabbia che smuove il canto di Nina Simone, grazie anche alla testimonianza e alla collaborazione di Lisa Simone Kelly, figlia dell’artista e produttrice esecutiva dell’opera. Il flusso di informazioni resta, però, lineare, cronologico e mancante di un qualsiasi tipo di influsso autoriale, un tratto tipico del documentario televisivo, genere con il quale questo prodotto si identifica perfettamente e all’interno del quale raggiunge risultati ottimi, in quanto, grazie a un approccio molto sensibile, riesce a scavare nei meandri più intimi e più bui della vita di Nina Simone e a stimolare una risposta emotiva genuina nello spettatore. D’altro canto, come spesso avviene nelle produzioni di questo tipo, la direzione in cui cade lo sguardo della macchina da presa è essa stessa una nota di stile, o quanto meno una manifestazione della volontà dell’autore.
What Happened, Miss Simone? si va a collocare nella nutrita libreria dei documentari di Netflix dedicati ai grandi musicisti, abbracciando anche un preciso impegno contro la discriminazione che è ormai un marchio della piattaforma, essendo la questione razziale imprescindibile dalla vita e dalla carriera dell’artista. È interessante che, sia a causa della pandemia e del blocco delle produzioni, sia grazie alla fame di contenuti delle piattaforme, il documentario stia riacquistando una popolarità che non aveva da tempo, il che lascia l’interrogativo su cosa ci regalerà il genere negli anni a venire.
Alberto Militello