Windfall è uno di quei vocaboli che non trova un corrispettivo diretto nella traduzione italiana, perdendo così parte del suo fascino semantico. Il termine può infatti indicare letteralmente una “manna caduta dal cielo”, come una grossa somma di denaro che viene ottenuta inaspettatamente (o meglio ancora immeritatamente), e allo stesso tempo può indicare un frutto caduto da un albero scosso dal vento. Una doppia natura che si può riconoscere nell’ambientazione e nei temi del nuovo film Netflix di Charlie McDowell.
In un aranceto della California, un uomo (Jason Segel) si introduce nella casa dei proprietari con l’intento di rubare quanto più denaro e oggetti preziosi possibili. I terreni appartengono ad un ricco imprenditore informatico (Jesse Plemons), CEO di un’azienda che ha immesso sul mercato un software capace di snellire le operazioni delle grandi multinazionali, con conseguente taglio degli esuberi. L’arrivo alla villa dell’imprenditore insieme a sua moglie (Lily Collins) sconvolge i piani del ladro. Colto sul fatto, non ha altra soluzione che prendere la coppia in ostaggio, in una situazione tesa e destinata a peggiorare.
Il film di McDowell ha un obiettivo ben chiaro: vuole spingere lo spettatore ad una riflessione su un sistema economico ingiusto, che tende ad accentrare tutto nelle mani di pochi a discapito della vita di molti, una realtà fallace che genera mostri dalla morale corrotta. Il regista non prova nemmeno a mascherare questo suo intento didascalico, il suo messaggio è gettata in faccia allo spettatore in maniera quasi fastidiosa, con dialoghi che appaino talvolta ridondanti.
Il confine tra colpevoli e innocenti è labile, nessuno si salva in questo meccanismo fallace e autoalimentato. I tre personaggi rappresentano ognuno un diverso aspetto del sistema preso di mira da Windfall. Se da un lato il CEO è l’anima senza scrupoli del denaro, abituato a gestire le persone come numeri o risorse di cui disporre, dall’altro lato anche il ladro e la moglie risultano corrotti e moralmente abbietti.
Sebbene si accenni ad un possibile torto subito dal personaggio interpretato da Jason Segel, è l’invidia a muovere le sue azioni e non un senso di giustizia, e nello specifico il desiderio di essere lui stesso nella posizione di potere del CEO, mentre Lily Collins interpreta quella faccia del sistema capitalistico che vorrebbe ripulirsi la coscienza con opere filantropiche che, nuovamente, non sono mosse da un senso di giustizia, ma da un senso di colpa per il windfall ottenuto immeritatamente. Il sistema malato finisce per corrompere tutti e l’unico che, alla fine della storia, appare realmente innocente è il giardiniere della villa, legato al mondo naturale, quasi arcaico.
Il film, tuttavia, si perde nella sua volontà critica e trascura l’intrattenimento. Il ritmo è lento, le situazioni non sono mai realmente tese salvo in pochi momenti, la suspense è dispersa in una moltitudine di dialoghi mai realmente accattivanti. Fortuna del film è quella di avere un cast attoriale particolarmente ispirato, capace di catalizzare l’attenzione dello spettatore e fargli trascurare le mancanze di sceneggiatura. Windfall è forse troppo preso dal suo messaggio, ma resta comunque un film interessante, retto soprattutto dalle ottime prestazioni del cast. La sola presenza di Jesse Plemons in un originale Netflix – pensiamo a opere come Sto pensando di finirla qui o a Il potere del cane – sembra ormai suggerire a priori di avere a che fare con un prodotto che, per un motivo o per un altro, merita quantomeno di essere visto.
Gianluca Tana